ABRUPTO

10.8.06


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836 - Proserpina, Cyane Libro V - vv 385-520

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Lungo sarebbe dire per quante terre e mari

vagò la dea: non c'era più luogo al mondo
dove ancora cercare. E ritornò in Sicilia,
e andò per tutta l'isola e giunse fino a Ciane,
che certo, se ninfa, le avrebbe detto ogni cosa;
ma non aveva più bocca, né lingua per parlare,
né modo per esprimersi; pure le mostrò un segno:
caduta là, galleggiava sull'acqua
della sorgente la cintura di Proserpina,
nota alla madre. E appena Cerere la vide,
come se allora sapesse la sorte della figlia,
cominciò a strapparsi i capelli e a lungo a battersi il petto.
E ancora non sa dove si trovi la figlia,
e dà colpa a tutta la terra (e la chiama nemica
e indegna del dono delle messi), e più alla Sicilia,
dove vide quel segno, ragione del suo pianto.
E là con mano spietata rompe gli aratri che voltano
le zolle, e con ira dà morte ai coloni ed ai giovenchi,
e vuole i campi sterili, e guasta le sementi.
E si perde la fama della terra siciliana,
dovunque esaltata come fertile; e le messi
muoiono appena verdi, ora perché il sole infuria
pioggia, e avversi sono i venti e le stelle.
E gli uccelli divorano i semi appena sparsi,
e il loglio e l'erbe spinose e la tenace gramigna
frmano il grano che cresce. Allora Aretusa
levò il capo fuori dall'acque dell'Elide
e, gettate le chiome stillanti dalla fronte
dietro le orecchie, così disse: «O madre delle messi,
madre della vergine cercata in ogni luogo, riposa
della lunga fatica, non fare violenza alla terra.
La terra è fedele, non ha colpa, senza volere
si aprì quando veniva rapita Proserpina.
Non prego per la mia terra, sono qui straniera,
io nacqui a Pisa. la mia patria è l'Elide.
Abito la Sicilia come ospite; ma questa terra
mi è cara più d'ogni altra; e per me, Aretusa,
questi sono i Penati, questa la casa, e tu,
dea benigna, difendila. Perché venni in Ortigia
dalla mia terra lungo infinite onde del mare,
dirò a suo tempo, quando avrai meno dolore
e più sereno il volto. Vado per un sentiero
aperto sotto terra e per caverne profonde
sollevo qui il capo e vedo stelle ignote.

(Continua)

(Salvatore Quasimodo, Dalle "Metamarfosi" di Ovidio)

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Bom dia!

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